Carmine Marotta: un incontro virtuale, una storia reale sulla immigrazione italiana di Trecchina (Basilicata) verso Jequié(Bahia)

 

di Maria Jaziete Aguilar

Università di Brasília – UnB

 

Questa relazione ha l’intenzione di riprendere una parte dalla storia della città di Jequiè. Comincio per narrare il contatto che ho avuto con l'immigrazione italiana che si verificò a Jequiè, in Bahia, alle fine del secolo XIX - fatto non noto a tutti - nonostante la sua importanza storica. Non sono nata a Jequiè e neanche ho discendenza italiana, mi fa piacere raccontare come questa storia mi è arrivata, facendo conoscere a tutti com'è possibile trovare - anche quando ci sembra difficile - quello che cerchiamo.

Negli anni settanta ho avuto la fortuna di conoscere il mio marito che ha vissuto a Jequiè tutta la sua infanzia e gioventù e così conosceva bene alcuni di quei immigrante ed i loro discendenti. Lui descriveva la partecipazione degli italiani nella vita dalla città con orgoglio, entusiasmo e tristezza nello stesso tempo perché gran parte dei jequieenses, avevano dimenticato o non conoscevano proprio le loro radici sebbene convivevano in mezzo a molti cognomi italiani. Per meglio illustrare ne cito alcuni per esempio: Aprile, Arleo, Arturo, Bertani, Biondi, Caricchio, Colavolpe, Colombini, Ferraro, Giudice, Grillo, Grisi, Labanca, Leto, Limongi, Lomanto, Magnavita, Marotta, Michelli, Niella, Orrico, Paladino, Pelegrini, Pignataro, Quaglia, Rotondano, Sarno, Scaldaferri, Schettini, Tolomei, Torregrossa e Vita. Ancora oggi alcuni dei discendenti vivono lì. A quell'epoca, tutto questo mi aveva incuriosito molto.

Ma, gli anni sono passati e, nel gennaio 1995,  ero a Salvador quando ho conosciuto, grazie ad un'amica - nata anche a lei a Jequié ma che vive in Italia - una ragazza italiana. Era la prima volta che sentivo la bella lingua italiana e sono rimasta veramente incantata da quel suono che mi sembrava un'aria dalla più bella opera italiana...! In quel momento mi è tornata in mente quella storia dei immigranti italiani a Jequié ed ho pensato: tutto ciò non è un caso. L'Italia è in me. Lì ho preso la decisione di imparare quella lingua piena di melodia. Però, molte cose sono successe e per molto tempo non sono riuscita a realizzare il mio proposito.

Comunque una bella sorpresa mi aspettava. Nella mattina di un giorno qualunque di marzo dell'anno 1998, vivendo allora a Brasília, la capitale del Brasile, leggendo il giornale che annunciava, tra tante altre notizie, una molto speciale per me: un corso di italiano che stava per iniziare. Era arrivato il momento giusto per imparare quel melodioso idioma e così concretizzare la decisione che avevo preso tre anni prima.

Ho infine fatto la mia iscrizione. Le lezioni venivano tenute presso l'Università di Brasilia, nella Facoltà di Comunicazione. Arriva il gran giorno: il 6 aprile 1998. Eccomi all'università – che io ancora non conoscevo - a cercare il posto giusto dove sarebbero realizzate le lezioni. Il ritardo nel trovarlo era normale ed anche il mio nervosismo. L'aula era piena! Arriva il professore e dice con entusiasmo: - Buon giorno!. Comincia così la mia incursione con la lingua del Bel Paese. "Mi chiamo..." sono state le prime parole che ho detto ed anche la prima regola che ho imparato. Però, non è il mio intento citare qui le regole grammaticali. La mia idea è soltanto raccontare il mio legame con la lingua italiana e come ha risvegliato in me quella storia dell'immigrazione italiana a Jequié, responsabile per  il mio primo contatto con l'Italia.

Adesso ero sicura che volevo studiare di più quell’episodio e che potevo, infine, pensare di scriverne qualcosa. Ho cominciato una instancabile ricerca in librerie, in biblioteche, su Internet su quell'argomento, però senza successo. Comunque, la mia voglia di trovare qualcosa di concreto sul tema, sicuramente, ha "contaminato" l'aria di casa mia e tutti i miei familiari furono presi a respirare, insieme a me, un po' di quella immigrazione che si verificò a Jequiè alla fine del ‘900. Tanto che mio figlio Frederico "navigando" su Internet ha trovato un sito intitolato Siamo tutti oriundi, di un universitario baiano che aveva scritto alcune cose sulla presenza italiana in Bahia. Quel sito, infine, sarebbe diventato, poi, il filo conduttore della mia ricerca.

La storia appena cominciava... Era marzo 2000. Ho immediatamente scritto un e-mail allo studente,  per raccontargli il mio desiderio di sapere di più su quell'argomento e per chiedergli aiuto affinché io potessi portare avanti il mio progetto. Ho ricevuto la risposta, ma da un'altra persona, un studioso della immigrazione italiana in Bahia, a cui quell'universitario aveva ripassato la mia lettera, per giudicare se lui poteva aiutarmi di più in quella occasione. In primo luogo, Eduardo - questo era il suo nome - mi aveva detto che, in Italia, esisteva in stampa un libro, scritto da un discendente di un signore di nome Carmine Marotta, il cui nonno fu uno dei immigranti che aveva vissuto a Jequié fra la fine del secolo XIX e l'inizio del secolo XX. Questo libro sarebbe uscito anche in Brasile, probabilmente entro il primo semestre di quell'anno, forse con la presenza dello scrittore. Era la notizia che io aspettavo da tanto tempo. Sicuramente, qualcuno sapeva qualcosa a riguardo dell'immigrazione che faceva parte della storia, non solo della città di Jequié, ma di tutta la regione dintorno e, pure, del Brasile. Per questo, non poteva essere dimenticata. In quel momento mi sono resa conto di avere trovato la persona giusta, nel momento giusto e mi pareva che Eduardo dimostrasse interesse e buona volontà nell'aiutarmi. Adesso, dovevo aspettare soltanto la pubblicazione del libro una vera reliquia per il suo contenuto storico culturale.

Erano passati cinque mesi ed il giorno della presentazione del libro sembrava lontano, non arrivava mai!... Mi sentivo ansiosa, impaziente d'aspettare tanto!... Così ho risolto: cercare, via Internet, qualche informazione sul signor Marotta. Io sapevo che il mondo virtuale è infinito, non c'è limite e lì potevo trovare qualcosa. E, tra sorpresa, dubbio ed allegria, ho trovato uno scrittore, esattamente di nome "Carmine Marotta", come quell’emigrante che aveva vissuto a Jequié alla fine dell'ottocento. Autore di vari libri fra i quali uno chiamato "Escursioni sul Coccovello". Sebbene l'argomento di questo libro - grotte e caverne - non avesse nessun collegamento con quello che io cercavo, la mia intuizione femminile diceva che io avevo bussato alla porta giusta. Sarebbe coincidenza o, infine, potrebbe esser lì il filo di luce di cui  io avevo bisogno per dare vita al mio sogno di scrivere su quella storia fantastica che è accaduta tanti anni fa? Avevo solo un modo per sapere:  usare, ancora una volta, il mondo virtuale che in quel momento era così reale.

Era agosto 2000. Ho scritto un e-mail presentandomi, raccontandoli un po' la mia storia e, per soddisfare la mia curiosità, domandandogli se esisteva un collegamento fra lui e quell'immigrante italiano – di medesimo nome - che aveva vissuto a Jequié e sopra il quale si stava scrivendo un libro in Italia o se tutto questo era solo coincidenza. E lui mi ha risposto: "Effettivamente la persona che lei sta cercando sono io. Ho scritto per hobby numerosi libri e fra questi è in uscita un libro sulla storia dell'emigrazione italiana in Jequié. In effetti, mio nonno che si chiamava Carmine Marotta, giunse in Brasile nel 1885..., ecc... ecc... ecc". Incredibile! Veramente incredibile!!! A migliaia di chilometri di distanza ho trovato per caso o, al massimo, per una forte intuizione, un pezzo vivo di quella storia. Da allora in poi i nostri dialoghi virtuali si sono mantenuti fino ad oggi. Siamo qua e là a viaggiare nella storia, nella geografia, nell’economia, insomma, nella memoria. Mi ha detto Marotta:

  • L'idea di scrivere un libro sulla fondazione di Jequiè è nata per caso mentre sistemavo lettere e foto che mio nonno Carmine aveva raccolto nella sua lunga vita, trascorsa per gran parte in Brasile. E forse proprio grazie alla catalogazione fatta da nonno Carmine ho potuto scrivere un libro dal titolo Casa Confiança - Trecchina Jequiè, un ponte di ricordi sull’Oceano con il sottotitolo: storia della fondazione di Jequiè e della sua economia commerciale ed agricola. Ricordo ancora il mio stupore, quella sera in soffitta, nel vedere in quel vecchio baule che lo aveva accompagnato per anni in Brasile e durante i suoi lunghi viaggi di nave per attraversare l'Atlantico, centinaia di lettere suddivise per mittente e per periodo, ben raggruppate, legate con uno fine spago che da anni le teneva insieme. Centinaia di fotografie in bianco e nero con scritto sul retro nome, data  e luogo, ma anche numerose dediche fatte all'amico Carmine, al caro compare, allo zio, al cognato e così via.
  • Bisogna dire anche che questo "incontro" è stato la motivazione che mi mancava per proseguire con la mia ricerca. In seguito, nel ottobre 2000, ho ricevuto da un amico un libro che conta, in forma di croniche, un po’ della storia di Jequiè compreso l’importante partecipazione – soprattutto nell’economia - della colonia italiana nel passato della città. In questo libro lo scrittore Émerson Pinto de Araújo, che per varie volte cita Carlos Marotta, ha detto che i pionieri immigranti italiani sono arrivati a Jequié prima del villaggio fosse elevato alla categoria di distretto della città di Maracàs, fatto che è successo nell’agosto 1880. I precursori furono i trecchinesi Giovanni e Giuseppe Rotondano ed anche Giuseppe Niella (conosciuti in Brasile come João e José Rotondano e José Niella, rispettivamente) che arrivarono in Brasile tra il 1866 ed il 1869, a Salvador in Bahia. A proposito, cito Marotta, il nipote, dalla relazione che mi ha fatto circa il suo libro chiamato Casa Confiança:

  • L'emigrazione verso il Sud-America ha segnato, e non poco, la vita dei Trecchinesi che già dalla fine dell'800 si imbarcavano dai porti di Napoli o di Genova sui transatlantici della speranza per raggiungere l'America. Molti furono dei veri pionieri, comprarono terreni, costruirono fazende e dove inizialmente c'era terra incolta nacquero i primi nuclei abitati per poi diventare man mano sempre più grandi fino a raggiungere, in alcuni casi, come verificatosi a Jequiè, nello stato di Bahia, delle vere e proprie città con migliaia di abitanti.
  • Secondo Émerson Pinto verso 1878 Giuseppe Rotondano arrivò a Jequié e, malgrado il lungo e difficile viaggio, intravide che quel piccolo paesino, circondato da monticelli come la sua Trecchina, grazie alla ramificazione di varie strade, raggiungerebbe sicuramente un grande sviluppo. Con questa aspettativa rimase lì e nacque così la ditta Rotondano & Niella, il cui contratto fu celebrato in italiano, che diede un grosso impulso al commercio di tutta la regione. Negli anni seguenti, i profitti superarono con un’immensa margine le previsioni più ottimiste. Furono acquistate alcune fattorie e furono chiamati dall’Italia i suoi amici Angelo Grisi e Carmine Marotta per aiutarlo nell’amministrazione degli affari che, a questo punto, includevano l’allevamento di bestiame e l’agricoltura con piantagioni di fumo, cacao, caffè, cotone, ecc. Ha scritto Émerson Pinto, nel suo libro:

  • L’inizio delle attività della nuova azienda non è stata facile. Secondo testimonianza scritta da Carlos Marotta, che consta dei nostri archivi, Niella faceva il venditore ambulante nelle margini del Rio das Contas e nei villaggi Serra Talhada, Porto Alegre e Poções. Rotondano, al suo turno, nel ritorno del socio viaggiava bosco in giù dov’era più conosciuto. Il socio che rimaneva a Jequiè, aspettava allora l’arrivo dei clienti ottenuti nei viaggi. Le vendite, nel principio, erano fatte rare volte con denaro liquido. Si scambiavano cuoio e pelle, carne, manufatti di cotone, coltellacci, vanghe, utensili per la caccia e la pesca, alcuni medicamenti e l’altre utilità. Ancora secondo testimonianza di Carlos Marota i viaggi erano fatti in canoa...
  • Queste testimonianze scritte da "Carlos" Marotta alle quali si riferisce Émerson Pinto ed anche il materiale fotografico che ha trovato Marotta nel baule del suo nonno, hanno fatto scattare l’idea del libro, come mi ha detto proprio lui:

  • Ma alle testimonianze fotografiche si è aggiunto una relazione storica che mio nonno Carmine (conosciuto in Brasile come Carlos) ha scritto al Dott. Antonio Lomanto Junior. Egli così iniziava la sua relazione "Por solicitação do ilustre Dr. Antonio Lomanto Jr., eu, Carmine Marotta forneço as seguintes informações, colhidas durante a minha longa permanência em Jequié, informações de coisas vividas, outras colhidas dos antigos moradores e outras ainda colhidas de escritos de velha data."
  • La relazione riporta in ben 30 pagine dattiloscritte in un portoghese non corretto grammaticalmente e spesso con allocuzioni in italiano ed in dialetto trecchinese (Trecchina è il paese di origine di mio nonno), la storia della fondazione di Jequié scendendo anche nei minimi particolari, di quelli che furono i primi anni ed i primi fatti che caratterizzarono poi la vita e il commercio di Jequié e della sua regione.

    La descrizione dei luoghi, dell’alluvione di inizio secolo ‘900, la crescita della popolazione con l’arrivo di medici, di preti, di infermieri sono dettagli che arricchiscono la relazione di mio nonno e tutto quanto egli racconta è ampiamente documentato da foto, da documenti e contratti commerciali che egli ha conservato e riportato in Italia dopo 52 anni di Brasile.

  • Il potere economico della colonia italiana a Jequiè era così grande al punto del governo italiano impiantare un vice-consolato nella città. Sebbene gli italiani rimasero lontani dalle lotte politiche, i governanti della città non facevano quasi niente senza la loro presenza. Nella ricostruzione della città, dopo la piena del Rio das Contas, nel 1913, è prevalso il punto di vista della colonia italiana, molto potente, già che dominavano il commercio. Furono loro a contrattare l’ingegnere che elaborò il tracciato della nuova città. Anche in questo momento il signor Carmine Marotta era presente. Cito il suo nipote:

  • Fra le foto di Jequié conservate da mio nonno che ho inserito nel libro di imminente uscita, vi sono quelle, molto significative e probabilmente uniche, dell’alluvione del 1913, anno in cui il Rio das Contas inginocchiò l’economia locale ma che nello stesso tempo incoraggiò chi, con grande forza d’animo, risistemò tutto in poco tempo tanto da far rifiorire quel centro commerciale che ormai, grazie ai Marotta, ai Grillo, ai Lamberti e a tanti altri trecchinesi rappresentava un esempio per molte altre zone interne dell’intero Brasile.
  • Gli italiani mantenevano anche un sistema di credito proprio e pure speciale sia per l’assenza di una banca o forse per avere tutti quanti come clienti abituali. In verità, con quello sistema hanno portato il progresso alla città. È rilevante arricchire le informazioni a riguardo di questo metodo, citando quello che ha scritto Marotta, il nipote:

  • L’arrivo dei primi Trecchinesi in Jequiè, le storie di alcuni di loro, le prime aziende commerciali e fra queste Casa Confiança fondata nel 1881 che diede al primo nucleo di Jequiè tutti i fondamenti del commercio. Leggendo con attenzione la relazione di mio nonno ho potuto dedurre che il sistema commerciale instaurato dai trecchinesi era nuovo, era qualcosa di unico, mai visto nemmeno in Italia: ed il nome della loro prima azienda appunto Casa Confiança rispecchiava il loro sistema di lavoro: veniva dato ed in maniera gratuita, in prestito, alle persone che giungevano in Jequiè quanto era necessario per iniziare a coltivare la terra: semi di cacao, semi di caffè ed altro. Solamente dopo il primo raccolto tali persone che avevano ricevuto il prestito restituivano ai soci di Casa Confiança quanto avevano ricevuto, senza nessun tipo di interesse da pagare oltre al prestito in natura ottenuto. Si instaurò così nel tempo una forma di cooperazione e di collaborazione che fece progredire in maniera esponenziale l’agricoltura ed il commercio.
  • Svegliata la curiosità con le informazioni così importante, conservate con affetto e premura per tanti anni è grande l’aspettativa in conoscere il testo integrale del libro che dovrà essere presentato brevemente in Italia e pure in Brasile. Mentre non ne viene pubblicato cito più una volta lo scrittore Carmine Marotta:

  • Sempre nel libro ho voluto dedicare un capitolo ai bambini dell’epoca, a quei frugoletti che venivano "preparati" nel migliore dei modi perché dovevano essere più belli per la foto. Ancora un capitolo è dedicato alla moda dell’epoca, donne con sfarzosi cappelli, uomini impettiti con giacche e gilet tirati a modo e con l’inseparabile cappello. E poi i "baffi", sì i baffi dell’epoca! Chi in un modo chi un altro provvedeva giornalmente alla cura del proprio baffo che molte volte significava anche ore di lavoro e costanza per la realizzazione di quelle "sculture" umane.

    Questa mia testimonianza vuol solamente essere un piccolo contributo dall’Italia per la ricostruzione delle tante bellissime pagine scritte negli anni dagli italiani che giunsero in Sud America alla ricerca di nuove frontiere da scoprire e di un futuro migliore.

    Nel prossimo mese, il libro riporterà il testo integrale in portoghese ed italiano ed una selezione delle foto archiviate da mio nonno, nonché una relazione storica che racconta contemporaneamente quanto succedeva in Trecchina ed in Jequiè dalla fine dell’800 alla metà del ‘900.

  • Tutta questa esperienza ha messo in evidenza un grande insegnamento: la storia di una città, di un Paese, di un popolo infine è fatta dalle loro memorie che, in tutti modi, devono essere mantenute vive. Così ho la responsabilità di continuare questi dialoghi con Marotta e, come faccio dall’inizio e come ha fatto molto bene il suo nonno Carmine, catalogarle affinché questa storia, che non è finita ancora, possa continuare ad essere scritta e conosciuta, a dir poco, per quelle persone che vivono a Jequiè o che hanno un rapporto con la città.